LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE
LE ORIGINI DELLA VIOLENZA MASCHILE
La violenza sulle donne è un tipo di violenza che attraversa tutte le società, i tempi, le classi sociali.
Non è legata a né a comportamenti sbagliati delle donne, né a follia o patologia negli uomini che la agiscono.
La violenza sulle donne è legata al semplice fatto che le donne sono tali, e come tali considerate oggetti di proprietà su cui possono essere vantati diritti e privilegi. Le donne vengono quindi considerate inferiori “ emotive”, “poco razionali””sensibili” “traditrici” , in contrapposizione agli uomini, dipinti come “razionali” “forti” “capaci di esercitare il potere””guide” “protettori”. Questi, che non sono che alcuni degli stereotipi di genere, che non rappresentano una verità, anche se vengono vissuti come tali, sono alla base dell’ inferiorizzazione, discriminazione e oggettivazione della donna.
Alla base della violenza sulle donne, quindi, ci sono delle aspettative che guidano sia gli uomini che le donne nel guardare a se stesse/i e alle relazioni. Aspettative che aprono la strada alla violenza e la invisibilizzano, nella sua pervasività e dannosità.
Gli uomini che la agiscono non sono pazzi, folli, poveri uomini che fanno così “perché hanno avuto un’infanzia difficile, abusi”. Anche le donne vengono maltrattate nell’infanzia, anzi sono abusate sessualmente il doppio degli uomini, eppure la maggior parte dei crimini violenti sono perpetrati dagli uomini, sia sulle donne che su altri uomini. Rappresentano anche la maggior parte della popolazione carceraria. Quindi, non è certo per le violenze subite da bambini che molti uomini fanno violenza sulle donne
Non è legata a né a comportamenti sbagliati delle donne, né a follia o patologia negli uomini che la agiscono.
La violenza sulle donne è legata al semplice fatto che le donne sono tali, e come tali considerate oggetti di proprietà su cui possono essere vantati diritti e privilegi. Le donne vengono quindi considerate inferiori “ emotive”, “poco razionali””sensibili” “traditrici” , in contrapposizione agli uomini, dipinti come “razionali” “forti” “capaci di esercitare il potere””guide” “protettori”. Questi, che non sono che alcuni degli stereotipi di genere, che non rappresentano una verità, anche se vengono vissuti come tali, sono alla base dell’ inferiorizzazione, discriminazione e oggettivazione della donna.
Alla base della violenza sulle donne, quindi, ci sono delle aspettative che guidano sia gli uomini che le donne nel guardare a se stesse/i e alle relazioni. Aspettative che aprono la strada alla violenza e la invisibilizzano, nella sua pervasività e dannosità.
Gli uomini che la agiscono non sono pazzi, folli, poveri uomini che fanno così “perché hanno avuto un’infanzia difficile, abusi”. Anche le donne vengono maltrattate nell’infanzia, anzi sono abusate sessualmente il doppio degli uomini, eppure la maggior parte dei crimini violenti sono perpetrati dagli uomini, sia sulle donne che su altri uomini. Rappresentano anche la maggior parte della popolazione carceraria. Quindi, non è certo per le violenze subite da bambini che molti uomini fanno violenza sulle donne
La violenza come traumaE’ ormai riconosciuto dalla comunità scientifica che le violenze hanno un impatto traumatico sulle persone che le vivono. Trauma significa che la persona sente chiaramente che c’è qualcosa che è cambiato, che si è rotto in lei; sente che c’è un prima e un dopo. La violenza, soprattutto quando agìta da chi amiamo e dice di amarci, rappresenta un grandissimo tradimento della fiducia, che può far perdere fiducia negli altri esseri umani, rendere insicure, diffidenti. Oltre a ciò, sappiamo che provoca, nel “migliore “dei casi (ovvero quando si tratta di un singolo evento) un Disturbo Post traumatico da Stess. Quando le violenze si ripetono, durando mesi o anni, si parla di cronicità.
In questi casi la persona può sviluppare un Disturbo Post Traumatico da stess Complesso, quindi più pervasivo. I sintomi principali sono: 1.Alterazioni nella regolazione delle emozione: nel regolare la rabbia, presenza di gesti autolesivi, suicidari, comportamenti a rischio, difficoltà a modulare il coinvolgimento sessuale 2.Disturbi della coscienza e dell’attenzione: come amnesie, fenomeni di depersonalizzazione 3.somatizzazioni: disturbi del sistema digerente, dolori cronici, sintomi cardiopolmonari, sintomi da conversione, disfunzioni sessuali. 4.Alterazioni nella percezione di sé: senso di inadeguatezza, senso di essere danneggiatə, vergogna, scarsa efficacia personale, senso di colpa e responsabilizzazione eccessiva 5.Alterazioni nella percezione del maltrattante: assumere la prospettiva dell’altro, idealizzare il maltrattante, timore di danneggiarlo 6. Disturbi relazionali: difficoltà a fidarsi, tendenza ad essere rivittimizzata, tendenza a vittimizzare gli altri 7. Alterazioni nei significati personali: disperazione e senso di inaiutabilità, visione negativa di sé, perdita di valori personali. I sintomi non devono essere tutti presenti per poter fare una diagnosi, ne sono sufficienti alcuni che la psicologa potrà individuare. Per questo motivo, lə psico deve avere anche competenze psicotraumatologiche, e usare tecniche che sono state riconosciute come efficaci dalla ricerca scientifica. Ad es. EMDR, Terapia Sensomotoria, DBR (in studio) |
PSICO E RICONOSCIMENTO DELLA VIOLENZA MASCHILENei corsi universitari, nelle scuole di specializzazione in psicoterapia, non viene insegnato niente che permetta allə psicologhə di riconoscere situazioni di violenza nelle relazioni affettive.
I dati Istat ci dicono che la violenza sulle donne, fin da quando sono bambine, è estremamente diffusa, trasversale a tutte le classi sociali e livelli di istruzione e sottostimata nel suo riconoscimento. Ciò fa sì che moltissime donne, pur cercando un aiuto, incontrino nel loro percorso figure professionali che invece di sostenerle rischiano di creare in loro ulteriori difficoltà, e traumatizzazione secondaria, dando ad esempio a loro, e non a chi agisce violenza, la responsabilità degli atti aggressivi. Questo ha un nome, ed è la colpevolizzazione della vittima. Oltre a ciò, queste figure, possono proporre o accettare la richiesta del/la paziente, di fare una terapia di coppia oppure un terapia familiare, o una mediazione familiare (se la coppia si sta separando e ci sono figliə minorenni). Questi interventi sono estremamente dannosi nei casi di violenza domestica, favoriscono la cronicizzazione dei comportamenti violenti, colpevolizzano la donna ed espongono lə figliə a ulteriori violenze. Per questo motivo sono vietati dalla Convenzione di Istanbul. Per formarsi adeguatamente sul tema della violenza maschile sulle donne, lə psicologhə devono fare corsi appositi. La migliore formazione è quella che deriva dall’aver fatto attivismo in Centri antiviolenza o in centri di ascolto per uomini maltrattanti che si rifanno al femminismo. E’quindi necessario unire alle competenze psicologiche quelle sociologiche, che rendano consapevole lə terapeutə di tutti quegli aspetti culturali quotidiani che permeano la vita di una donna e che sono già violenze, discriminazioni e aprono la strada ad ulteriori violenze. |
SCEGLIERE Lə PSICO GIUSTəScegliere lə psicologə è estremamente complesso e delicato. Il fattore relazionale è centrale, il sentirsi accoltə, non giudicatə, sostenutə. Oltre a ciò, esistono degli indicatori, che possono guidarci e che possiamo esplorare facendo delle domande allə professionista a cui ci rivolgiamo per una consulenza psicologica: Unə psicologə adeguatamente formatə: 1. TI CREDE 2.Mostra accoglienza e non ti colpevolizza per le violenze che hai subìto 3. Ti saprà spiegare i meccanismi che possono averti ostacolata nel riconoscere la violenza o nel proteggerti 4. Ti dirà chiaramente che la violenza è responsabilità di chi la agisce, non di chi la subisce 5. Ti dirà che la violenza non ha mai una giustificazione 6. Ti dirà che la violenza sulle donne ha una componente culturale fortissima, perciò colpisce tantissime donne, e non è legata a cose che una donna “sbaglia”, ma al semplice fatto di essere una donna. 7. Sa che un uomo che agisce violenza non è un buon padre, perché crea un clima di paura in famiglia e svaluta la figura materna 8.Non accetterà di fare terapia di coppia, familiare o mediazione familiare fra te e il maltrattante, e ti spiegherà il motivo (Convenzione di Istanbul) 9.Riconosce l’importanza dell’attivismo, dei Centri antiviolenza, del sostegno fra donne 10. ti sosterrà nel riconoscere la tua forza, curare le tue ferite, recuperare il senso del tuo valore. 11. Deve avere competenze sul trauma e usare adeguate tecniche per sostenerti nell'elaborazione degli eventi vissuti (la violenza è sempre un trauma) ECCO COSA CHIEDERE: 1.Ha una formazione specifica sulla violenza maschile sulle donne ? Se la risposta è “no”, oppure “la violenza è sempre violenza e non ha genere” oppure “ esistono anche le donne violente”, cambia psico. 2.Conosce il centro antiviolenza della zona? Sa che servizi offre? Ha mai frequentato anche un solo degli eventi da loro organizzato? Se la risposta ad almeno una domanda è no, cambia psico. 3.Crede che la violenza sia solo quella fisica? Ignora l’esistenza della violenza psicologica ? Crede che nella violenza la responsabilità sia “50 e 50”?. Se la risposta ad almeno una domanda è sì, cambia psico. 4.Crede che un uomo che agisce violenza sulla moglie, se non picchia i figli, sia un buon padre? Se la risposta è sì, cambia psico. 5.Raccontando la violenza ti chiede cosa hai fatto per “provocarlo”? Cambia psico. 6. Quando le parli della violenza ti dice che prima di tutto devi denunciare, ed insiste perché tu lo faccia? Se la risposta è sì, cambia psico. La denuncia è un diritto, ma lo scopo della psico è sostenere e accompagnare la donna nell'uscire dalla violenza, dal trauma. Questo a volte può implicare anche accompagnarla nel denunciare, ma solo se per la donna è l'obiettivo. |